Mare di danza (dal 1996)

Il festival Mare di danza nasce da una lunga esperienza di cooperazione artistico-culturale sviluppata nell’area Euro Mediterranea dal 1996 con artisti, centri di ricerca e produzione, Università, Accademie d’arte e circuiti internazionali.

Il festival ha rappresentato un’occasione di incontri di generazioni, di razze, culture, saperi e credi differenti. Incontri tra giovani e adulti, tra artisti e ricercatori che si affacciano alle problematiche dell’arte dell’autonomia e della cittadinanza.

Uno degli obiettivi è stato lo sviluppo di itinerari culturali di qualità nelle zone interne della Sardegna e del Mediterraneo o nelle aree del disagio sociale, per una comunicazione e convivenza sostenibile. Mare di Danza è stata anche un proposta per incentivare la partecipazione e la coesione sociale, tra chi accoglie (la comunità di Selargius, Quartu Sant’Elena, Siamanna, Siapiccia e Iglesias) e chi arriva da fuori con altre sensibilità.
Gli ospiti del festival (artisti, studiosi, allievi ed operatori culturali), il pubblico partecipante, gli stranieri in casa (immigrati in Sardegna) sono stati testimoni di una storia che muta usi, costumi e modi di produzione. 
Il festival promuove il dialogo interculturale attraverso l’arte e l’osservazione dei flussi migratori: artisti nomadi e popoli in cerca di habitat.

L’arte come dialogo interculturale
L’arte viene intesa come strumento per favorire il rito dell’incontro, dello scambio e dell’accoglienza. L’arte come valorizzazione dei luoghi, dei popoli e individui. L’arte per armonizzare differenze e canalizzare i conflitti.

Il Mediterraneo come contesto culturale in un’ipotesi di pace
Agire nel Mediterraneo oggi comporta la capacità di trasformare dinamiche conflittuali in processi creativi che aprono spazi di solidarietà e condivisione. Mare di danza, è inoltre un’occasione per dichiarare solidarietà alla società civile libanese e palestinese e contribuire alla ricostruzione di un senso etico di cittadinanza.
Non possiamo assistere indifferenti e rassegnati di fronte alla legittimazione di atti criminali che si chiamano ancora guerre.

 

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